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Il processo a Majidreza Rahnavard
Il processo a Majidreza Rahnavard
IRAN - Majidreza Rahnavard giustiziato in pubblico a Mashhad il 12 dicembre

12 dicembre 2022:

Majidreza Rahnavard giustiziato in pubblico a Mashhad il 12 dicembre. Il giovane, 23 anni, era stato arrestato durante i disordini seguiti alla morte di Mahsa Amini. La notizia è stata data da Mizan, l’agenzia di stampa ufficiale della magistratura iraniana.
Nessuno tocchi Caino il 5 dicembre (vedi) aveva pubblicato la notizia di 9 persone accusate di concorso nell’uccisione di due paramilitari Basij a Mashhad durante le proteste, 5 delle quali erano state condannate a morte. Sempre secondo fonti filogovernative, il principale imputato di quel processo era Majidreza Rahnavard. Oggi le fonti filogovernative hanno pubblicato con risalto la notizia dell’esecuzione, in pubblico, di Rahnavard. Le esecuzioni in pubblico erano molto diminuite in Iran negli ultimi anni, una delle poche concessioni che il governo iraniano ha fatto alle pressioni internazionali per il rispetto dei diritti umani. Le esecuzioni in pubblico sono diventate più rare, e gli ultimi episodi hanno sempre riguardato persone accusate di aver ucciso agenti di polizia o comunque delle forze militari o paramilitari governative. Anche le notizia delle esecuzioni all’interno delle carceri sono molto diminuite negli ultimi anni, la maggior parte delle Ong stimano che l’80% delle esecuzioni non vengano pubblicate dalla stampa interna all’Iran. In questo caso la doppia “pubblicità” dell’esecuzione sembra intenzionale, come a dire che chi contesta il governo è un criminale, e che in quanto tale sarà trattato con la massima durezza, auspicio del resto espresso più volte pubblicamente dalle massime autorità del paese, alle prese con una fortissima protesta popolare che da due mesi e mezzo resiste a tutti i feroci tentativi di repressione.
L’aggressione ai paramilitari Basij era avvenuta il 17 novembre. Rahnavard era stato arrestato il 19 novembre, e il suo processo si è svolto solo dieci giorni dopo. Dall’arresto all’impiccagione sono trascorsi solo 23 giorni fa, e in questo breve lasso di tempo è stato disposto il rinvio a giudizio, celebrato il processo di primo grado, discusso il ricorso alla corte suprema, e compiuta l’esecuzione. Come sempre accade nei casi di “moharebeh” (inimicizia contro dio, ossia reati contro il sistema politico-religioso ispirato direttamente al Corano), Rahnavard non ha potuto essere difeso da un avvocato di propria fiducia e, prima ancora del processo, la televisione nazionale ha mandato in onda (anche questa una consuetudine) una confessione videoregistrata, confessioni che tutte le Ong denunciano vengono ottenute con un combinato disposto di torture fisiche e minacce contro i parenti dell’inquisito. I telegiornali (in Iran esistono solo canali statali) avevano anche trasmesso le scene di un assalto all’abitazione della famiglia di Rahnavard da parte di “persone fedeli alla repubblica islamica”, e il video di una telecamera di sorveglianza che aveva ripreso la scena del crimine, video nel quale però il volto dell’aggressore non compare.
Rahnavard è il secondo manifestante ad essere giustiziato. L’8 dicembre era stato impiccato, con risalto sui media governativi, Mohsen Shekari.
Come NtC ha già riportato, le fonti filogovernative hanno già annunciato le condanne a morte di almeno altre 9 persone, e l’imputazione di “moharebeh” è stata mossa a decine di altri manifestanti, che a questo punto appaiono tutti a forte rischio di esecuzione.
Il direttore della Ong “Iran Human Rights”, Mahmood Amiry-Moghaddam ha dichiarato: “L'esecuzione pubblica di un giovane manifestante, 23 giorni dopo il suo arresto, è un altro grave crimine commesso dai leader della Repubblica islamica e una significativa escalation del livello di violenza contro i manifestanti. Majidreza Rahnavard è stato condannato a morte sulla base di confessioni estorte, dopo un processo gravemente iniquo e un processo-spettacolo. Questo crimine deve avere gravi conseguenze per la Repubblica islamica. Ci sono migliaia di manifestanti detenuti e una dozzina di condanne a morte già emesse. C'è un serio rischio di esecuzioni di massa dei manifestanti. L'esecuzione di oggi deve ricevere una risposta così forte da dissuadere i leader della Repubblica islamica da ulteriori esecuzioni".
"I leader della Repubblica islamica stanno commettendo questi crimini perché hanno bisogno di diffondere la paura tra la gente e salvare il regime dalle proteste a livello nazionale. Hanno già commesso gravi crimini contro i diritti umani. Negli anni '80, migliaia di manifestanti e oppositori politici sono stati (Fonti: IHR)

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