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CANCELLATA LA PENA CAPITALE, IL DONO DI NATALE DELLO ZAMBIA

30 dicembre 2022:

Sergio D’Elia su Il Riformista del 30 dicembre 2022

La legge che abolisce per sempre, non solo l’uso, ma il pensiero stesso della forca in Zambia è arrivata come regalo di Natale ai detenuti del braccio della morte. Quale modo migliore per festeggiare la Natività, la venuta al mondo dell’uomo delle buone novelle? “Non giudicare!”, ha detto, per non incatenare vittime e carnefici al ciclo assurdo della vendetta, del delitto e del castigo, della violenza e della pena. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ha ammonito, per non ridurre i rapporti umani a storie di lapidazioni e il mondo a un mucchio di sassi. “Non uccidere”, ha esortato, neanche in caso di legittima difesa.
L’abolizione della pena di morte segna la vera fine dell’era coloniale. Lo Zambia restituisce al suo conquistatore quel che non era mai stato parte della propria cultura e tradizione millenarie. I coloni inglesi erano arrivati all’inizio del secolo scorso invertendo il senso di marcia, imponendo punizioni corporali, costruendo penitenziari e marchingegni patibolari. Degli usi e costumi dell’epoca rimane ora solo la guida a sinistra sulle strade, mentre il retaggio più sinistro, la forca eretta nel carcere di Mukobeko, è stato smantellato per sempre.
“Un inferno in terra” l’aveva definita un Presidente dopo aver visitato la prigione qualche anno fa. Quando l’ho visitata io, nel braccio della morte erano ammassate centinaia di condannati. Ne ho visti anche sei in una cella destinata in origine a ospitarne uno. Non avevo mai visto concentrato in uno spazio così ristretto e contro le leggi elementari della fisica e sulla dignità umana un tale carico di corpi e di sofferenza. Il pavimento della cella risultava completamente coperto dai due materassi stesi per terra. Dormire lì era una sfida e i detenuti erano costretti a fare i turni. Per la notte come bagno c’era solo un bugliolo da svuotare ogni mattina. Come rancio, una volta al giorno, sempre la stessa “sbobba” di fagioli, riso, polenta o pesce fritto. In una tale promiscuità la malattia di uno – tubercolosi, scabbia o Aids – diventava il destino di tutti. Con l’abolizione della pena di morte è stato abolito anche questo padiglione della morte. Rimane ancora il carcere di Mukobeko. Il nome, nella lingua locale, significa “punizione”. In effetti, varcare la porta del carcere, anche solo per visitarlo, è una pena intollerabile.
Da quando lo Zambia è diventato indipendente nel 1964, sono state impiccate 53 persone. L’ultima volta nel gennaio 1997, quando l’ex Presidente Chiluba mandò alla forca otto detenuti nello stesso giorno. Da allora lo Zambia non ha giustiziato più nessuno grazie a una serie di moratorie e perdoni presidenziali inaugurati da Levy Mwanawasa, un cristiano battista convinto abolizionista. “Le persone non possono essere mandate al macello come fossero polli,” ha detto. Per questo nel 2004 gli abbiamo conferito il Premio “L’abolizionista dell’Anno”. La linea di Mwanawasa è stata poi confermata dai suoi successori Rupiah Banda, Michael Sata ed Edgar Lungu che si sono sempre rifiutati di firmare decreti di esecuzione, commutando centinaia di condanne a morte.
Il dono della vita offerto a Natale ai condannati a morte è anche merito nostro. Come “Nessuno tocchi Caino” e un po’ anche per conto del Signore che “pose su Caino un segno perché non lo colpisse chiunque lo avesse incontrato”, in Zambia siamo tornati più volte negli anni successivi per sostenere la linea del Governo a favore della moratoria delle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte.
L’attuale Presidente, Hakainde Hichilema, conosce bene il carcere di Mukobeko.
Nel 2017, accusato di tradimento, aveva trascorso centoventisette giorni in un camerone con oltre cento detenuti, dormendo sul pavimento e senza accesso a un bagno. Dal sottoterra infernale di Mukobeko è salito al palazzo più alto del Paese, ma non ha dimenticato la straziante situazione dei suoi ex compagni di sventura.
Per “contrastare il sovraffollamento delle carceri”, ha preso a graziare condannati e commutare pene. L’ultima volta, nel maggio scorso, ne ha graziati 2.045 e ne ha commutate 807.
Per progredire in direzione dello stato della vita e del diritto aveva promesso anche di chiudere il braccio della morte e di emendare il Paese dalle leggi arcaiche e antidemocratiche. Dopo sei mesi ha mantenuto la promessa.
Alla vigilia di Natale ha firmato l’abolizione della pena capitale e cancellato anche il reato “coloniale” di vilipendio nei confronti del capo dello Stato.
È la parabola felice di un Paese dove non abita più Caino. È anche una lezione di civiltà per il nostro dove, invece, si ragiona all’incontrario. Dove si fa di tutto per affollare le carceri, mantenere leggi arcaiche e regredire dallo Stato di Diritto.
Dove si ignora l’appello del Papa per un atto di clemenza natalizio e si maledice la Natività carcerando 700 “semiliberi”, ribadendo il “carcere duro” e il “fine pena mai”, la pena fino alla morte.

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