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IRANIANI PRONTI A TUTTO. E NOI CHE FACCIAMO PER LORO?

22 ottobre 2022:

Roberto Rampi su Il Riformista del 21 ottobre 2022

Da quando con passione seguo le drammatiche vicende del popolo iraniano, lo sviluppo di un regime che nel tempo è riuscito persino a peggiorare, nonostante partisse da vette drammatiche di violenza, e le ambiguità responsabili dell’Unione Europea e dei governi italiani nei confronti di questo regime, le straordinarie manifestazioni della diaspora iraniana, le azioni politiche della resistenza, mai eravamo arrivati a un punto così importante di mobilitazione nel Paese. Troppe persone costrette a violenze di ogni tipo e private della speranza oggi non hanno nulla da perdere e sono pronte a tutto per cambiare.
L’Iran è campione mondiale di esecuzioni. Nel mio impegno per la moratoria globale della pena di morte ho iniziato ad approfondire le caratteristiche di un regime che non solo uccide il suo popolo con processi sommari e per “reati contro la morale”, a partire dalla omosessualità. Ma lo fa spettacolarizzando la violenza, impiccando al braccio di grandi gru da costruzione donne, uomini, ragazze, bambini davanti a una folla spesso obbligata ad assistere. Uccide i minori, fa dello spettacolo della violenza la cifra di un sistema di potere fondato sul terrore. E proprio per questo oltre a essere crudele con i propri cittadini l’attuale governo iraniano esporta violenza nel mondo, finanziando gruppi terroristi in tutto il Medioriente.
In questi anni in parlamento abbiamo sollevato con le diverse organizzazioni per i diritti umani e con gli stessi iraniani della diaspora il problema dell’atteggiamento dell’Italia e dell’Europa, che hanno scelto l’illusione degli investimenti economici e del potenziale di crescita del Paese rispetto alla intransigenza sui diritti umani, promuovendo iniziative, scambi, incontri come se il governo iraniano fosse un normale interlocutore. Nonostante non possano esistere investimenti sicuri in contesti privi di stato di diritto, dove la corruzione e l’arbitrio assoluto governano tanto l’economia che la vita umana.
È stata alimentata la favola delle cosiddette componenti riformiste del regime, e l’idea di possibili accordi in particolare sulla questione nucleare. Anche di fronte al rapimento e alla condanna di Ahmadreza Djalali e alla comprovata organizzazione di un tentato attentato sul suolo europeo la strategia non è cambiata. E alle ripetute interrogazioni si è risposto con una flemma degna di ben altra condizione.
Oggi grazie al sacrificio in particolare di alcune giovani donne qualcosa si smuove nella opinione pubblica e anche nel sistema dell’informazione.
Un movimento internazionale sembra attivarsi e aprire lo sguardo verso un regime che mostra forti segnali di cedimento, nonostante abbia saputo muoversi nelle profonde fratture della nuova situazione internazionale per attirare investimenti e stringere alleanze, in particolare con Russia e Turchia. Mi auguro che l’Italia sappia essere protagonista di una nuova fase.
Alle manifestazioni di piazza e ai tagli di capelli in solidarietà con le donne iraniane devono seguire processi di disinvestimento economico, soprattutto delle aziende a partecipazione statale, e la comunità internazionale deve favorire un cambio di regime, senza alcun cedimento a frange interne al potere che hanno partecipato alle nefandezze che opprimono da oltre quarant’anni un grande Paese, facendo oltraggio a una cultura millenaria fatta di apertura, pluralismo, convivenza.
Oggi l’Iran aspetta che il mondo intero riconosca il diritto del suo popolo di difendersi dalle violenze del regime, di organizzarsi, un aiuto concreto in termini di sanzioni e un supporto attraverso la riattivazione della rete interna e le condanne nette sul piano internazionale, il superamento della normalizzazione dei rapporti diplomatici.
La scorsa settimana all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa oltre 100 parlamentari di Paesi e gruppi politici diversi hanno sottoscritto una dichiarazione molto netta in tal senso. Dopo avere richiamato il ruolo svolto dall’attuale Presidente della Repubblica Islamica Ebrahim Raisi nel massacro di prigionieri politici nel 1988 – secondo alcuni rapporti, i giustiziati furono 30.000, il 90% dei quali erano sostenitori dei Mujahedin del Popolo – i parlamentari del Consiglio d’Europa hanno invitato gli Stati membri europei e la comunità internazionale a condannare fermamente le uccisioni e gli arresti di manifestanti in corso in Iran, a riconoscere il diritto del popolo iraniano a resistere alla repressione e a difendersi, a fornire accesso gratuito a Internet per il popolo iraniano.
Il tempo per un Iran libero è adesso.

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