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Analisi del servizio sul “caso” D’Elia del Tg4 del 7 giugno 2006, ore 19.00


(di Diego Galli)
 
 
 
 
In tutto il servizio si tende a dare la sensazione di una unanimità contro l'elezione di Sergio D’Elia e la successiva elezione a segretario della Camera dei deputati.
 
Emilio Fede: “C'è una protesta, qualcuno l'ha definita, qualche giornale ha scritto protesta corale, che viene dai sindacati della polizia e dai parenti delle vittime del terrorismo”.
 
Servizio: “la sua nomina ha sollevato dubbi e polemiche a non finire da più parti”, e ancora:
“la nomina di Sergio D’Elia continua a scuotere l'opinione pubblica, viene giudicata inopportuna da molte forze politiche, provoca la protesta del Sindacato Autonomo di Polizia che chiederà le dimissioni del segretario della Camera dei Deputati”.
 
Intanto, si dice ‘nominato’ e non eletto (come è avvenuto, il 22 maggio, dall’Assemblea di Montecitorio a scrutinio segreto) e si dice anche “è il nuovo segretario della camera dei deputati” come se fosse l’unico e non uno dei sedici eletti in rappresentanza dei vari gruppi politici.
Poi, non si dà alcun conto delle numerose prese di posizione a difesa di D’Elia, anche di esponenti prestigiosi delle istituzioni, né dei distinguo che diversi parenti delle vittime del terrorismo hanno fatto tra Sergio D’Elia e altri ex terroristi (si veda ad esempio la dichiarazione di Olga D'Antona, vedova di Massimo D'Antona: “D’Elia è stato riabilitato dal carcere, ha già pagato. E' possibile che non siamo capaci di cogliere quando il carcere invece che luogo di pena é anche luogo di riflessione e di ravvedimento?”).
Infatti la storia di Sergio D’Elia, e anche il suo profilo pubblico, viene continuamente equiparato a quello di altri ex terroristi che sono divenuti personaggi pubblici, invitati spesso in trasmissioni televisive e autori di libri e articoli di stampa, sulla base del loro passato dentro organizzazioni terroristiche, mentre Sergio D’Elia è conosciuto come personaggio politico e pubblico in quanto segretario di un'associazione che si batte contro la pena di morte e in quanto esponente politico radicale.
L'immagine di Sergio D’Elia è fissa dietro Emilio Fede anche quando Bruno Berardi, unica persona intervistata durante il servizio lungo ben 7 minuti e 14 secondi, parla di ex terroristi che nulla hanno a che vedere con Sergio D’Elia e la sua storia di personaggio pubblico (“a molti terroristi gli è stata garantita una vita da nababbo, molti che ... quasi tutti i giorni per i libri che scrivono la Faranda, Bianconi (sic), di assassini di mio padre e se io li vedo tutti i giorni con mio rammarico”).
Le uniche informazioni che vengono date su Sergio D’Elia dopo il suo passato nell'organizzazione Prima Linea, e della condanna del 1979 per cui ha scontato interamente la pena di 12 anni di carcere, sono le seguenti: “Nell'86 fonda la associazione Nessuno Tocchi Caino ed esce dal carcere nel '91”. Nulla sulla sua militanza radicale iniziata nel 1986, sulla scelta della nonviolenza gandhiana, sull'attività di Nessuno Tocchi Caino contro la pena di morte, sull'impegno sui temi della giustizia e delle condizioni delle carceri, sul suo ruolo nella Rosa nel pugno. Nulla neanche sullo scioglimento di Prima Linea nei primi anni Ottanta e la sua dissociazione dal terrorismo con l’appello pubblico ai supersiti del terrorismo di abbandonare la lotta armata.
Vengono al contrario date informazioni gravemente diffamatorie e del tutto menzognere, come: “In particolare, D’Elia era nel commando che assaltò il carcere delle Murate a Firenze il 20 gennaio del '78 dove morì l'agente di polizia Fausto Dionisi, aveva 23 anni. L'esponente di Prima Linea arrestato nel maggio del '79, venne condannato per quell'omicidio dalla Corte d'Assise di Firenze, sentenza confermata in Appello e in Cassazione”.
A Berardi il compito di descrivere D’Elia, senza alcun contraddittorio, come “una persona che si è sporcata le mani di sangue”.
Al contrario, come provano gli atti del processo, Sergio D’Elia era lontano da Firenze al momento del fatto e non era stato tra i mandanti e gli esecutori materiali della tentata evasione dal carcere delle Murate.
Non si dà alcuna notizia del fatto che nel 2000 D’Elia è stato completamente riabilitato con sentenza del Tribunale di Roma, riabilitazione richiesta dallo stesso procuratore generale e sostenuta anche da lettere di vittime dei suoi reati.
Lo stesso Emilio Fede si troverà costretto ad affermare più tardi nel servizio: “chi è responsabile direttamente o indirettamente mandante in questo caso di atti di terrorismo”.
Non viene mai data la parola a D’Elia né direttamente, né citando sue dichiarazioni o la lettera aperta inviata al presidente della Camera e ai deputati, che perfino il quotidiano Libero, che ha aperto la campagna di stampa contro D’Elia, aveva pubblicato.
Emilio Fede dedica gran parte del servizio a intervistare una persona, Bruno Berardi, che annuncia di darsi fuoco (e che poco dopo afferma che “naturalmente non è che arriverò in fondo però è un gesto dimostrativo...”), dandogli credito, sostenendolo più volte con parole di solidarietà, e terminando il servizio con queste parole: “Dolore che certamente tutto il mondo civile che, mi permetta di dire, la gran parte potrà condividere”.

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