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Stralci dal documento “Il muro”, redatto nel giugno 1983 durante il processo di Torino a Prima Linea


“Forse si comincia a non riconoscersi solo tra simili”.
 
“... portando tutta la consapevolezza della sconfitta (...) ma anche la chiarezza di idee a proposito di quanto questa esperienza [lotta armata] fosse debitrice alla tradizione ed alla prassi viva della sinistra intera”.
 
“... abbiamo deciso di affrontare il mare aperto, anche se le carte erano quelle di un mondo passato”.
 
“Dissociazione ed irriducibilismo (...) muovono dalle tesi di una sconfitta epocale del movimento di rivoluzione e di trasformazione positiva della società. (...) Noi invece vogliamo partire dalla constatazione della sconfitta delle forme assestate, politiche e politico-militari”.
 
“Per noi questi anni trascorsi non vanno né rigettati col disprezzo e l'orrore di facciata dei dissociati, anche se abbiamo davanti tutti i nostri errori e peggio, né incensati e giustificati con la logica di tradizione staliniana di riscrittura accomodata della storia. Per noi all'opposto è centrale il nodo della memoria, strumento prioritario di ogni opzione critica”.
 
“Tragica [è] l'endemizzazione ormai raggiunta dai frantumi di lotta armata, grottesca la stupidità dell'individuazione del nuovo 'cuore' del progetto imperialista. (...) Noi quindi riteniamo oggi delegittimata socialmente la pratica di LOTTA ARMATA per il comunismo in Italia. (...) Non si tratta di un giudizio storico ma pertinentemente politico, immediato, efficace”.
 
“La posta in gioco è la ripresa adeguata di un processo rivoluzionario finalmente sgravato da ogni tesi totalizzante che dapauperi l'enorme ricchezza e complessità delle pratiche antagoniste”.
 
“Oltre alla lotta armata per il comunismo è andato in saturazione un altro pilastro: (...) LA GRANDE LOTTA ECONOMICA. [Un] travaglio profondo ha portato a consunzione lo Stato Sociale (o Assistenziale) e la pratica di mediazione conflittuale nel campo economico. [E’ in atto] la crisi prima latente e ora esplosiva del contrattualismo”.
 
“Il problema della pace e della guerra, il problema ecologico (...) hanno un impatto drammatico sulla vita degli uomini prima per la loro carica politica e solo dopo come determinazioni economico-strutturali. Non si tratta più di ragionare sul grado di politicità delle lotte economiche ma, al massimo, sul grado di contaminazione economica di lotte politiche settoriali”.
 
“Da qui, ancora e ancora, il nostro rifiuto a frammischiare la nostra lotta di liberazione con questa guerra per bande [ha appena accennato alla situazione italiana dei primi 80, uccisioni Calvi, Pecorelli, P2..., NdR]. Tutti i riferimenti e le categorie della sinistra cominciano a essere obsoleti, in primo luogo il riferimento alla giustizia economica”.
 
“Si tratta proprio di rovesciare tutto il sistema di pensiero e operativo basato sulla giustizia come valore affermativo, si tratta di capire il desiderio profondo di libertà, delle libertà personali e collettive che percorre il corpo della società”.
 
“Tutti hanno giocato pesante su di noi, caricandoci addosso le responsabilità della precipitazione degli scenari”.
 
“Se la lotta armata negli ultimi anni non è stato strumento utile alle lotte di massa, ancora più grave è la responsabilità di chi ha rimosso l'orizzonte del conflitto di classe per sostituirlo con la disarmante pratica del patteggio istituzionale, qualificandosi come gendarmeria nei confronti di qualsiasi lotta e comportamento non compatibile con i precari equilibri perseguiti dal compromesso storico”.
 
“L'emergenza non è una semplice escrescenza repressiva (...). essa si configura come strategia complessa che vorrebbe dare vita ad un sistema sociale fortemente corporato ed informatizzato”.
 
“L'emergenza è un ostacolo formidabile per la possibilità di ripresa ampia dei movimenti di lotta, (...) chiude ogni spazio di iniziativa, lavora a quell'essenza di lotta che sembra pace e invece è soltanto deserto di vita e di idee”.
 
“La fine dell'emergenza [è] preliminare alla ripresa di qualsiasi progetto di trasformazione di questo paese”.
 
“I movimenti [dei primi anni 80, NdR] cercano di affermarsi per nuovi spazi di vita, affermarsi come possibilità generale, non semplicemente economica”
 
“Vive oggi una sostanziale ambivalenza dei movimenti che (...) compiono incursioni, attraversamenti, intrecci con l'assetto istituzionale della società, portando anche al suo interno critica radicale, interagendo con esso per reimporre modificazioni o 'estorcere vittorie'. (...) È il caso delle grandi opzioni popolari in tema di libertà sociali e di destini umani, aborto, divorzio, centrali nucleari, ecc.”.

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