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Lettera ai dissidenti sovietici Vladimir Bukovskij, Vladimir Maksimov e Leonid Pljusc, partecipanti al convegno “Diritti umani e dissenso nell'era di Gorbaciov†tenutosi a Roma il 10 e 11 aprile 1987

  (Di Maurice Bignami e Sergio D’Elia)    


Roma, Rebibbia aprile 1987          

Vi scriviamo liberamente dal carcere. Vi scriviamo per esprimere un desiderio di conoscenza e per dare corpo ad un impegno.
Siamo detenuti, ma certo non è per questo che intendiamo forzare un parallelismo tra la nostra condizione attuale e la vostra passata per arrivare a un incontro. Peraltro ci appare assai triste e di cattivo gusto organizzare riunioni tra detenuti ed ex! Né ci viene in mente di paragonare la nostra e la vostra galera.
Questa lettera se non altro può partire, può veicolare un invito, può fissare un appuntamento in cui poi magari discutere di nulla. Per voi invece, in carcere, non era proprio il caso... di aprire una fitta corrispondenza con il Kgb.
Siamo ex terroristi, ma non ci sogniamo neanche di provocare un'analogia tra la nostra violenza e la vostra dissidenza. Eppure oggi ci piace considerarci come voi, approdati alla libertà, esuli dal terrore e dal comunismo.
Voi l'avete capito per primi, e ve ne siete andati. Noi l'abbiamo capito più tardi, ma scappare dal comunismo non é mai troppo tardi.
Per voi fin dall'inizio il sogno è stato la libertà e la democrazia. Noi, per sognare, siamo passati attraverso l'abiura, atto coraggioso e nobile quanto altri mai, almeno nel campo di vita degli egualitarismi.
Siamo radicali, ed è forse questo che ci permette di provare oggi un'affinità con voi.
Per strade diverse, voi da Est e noi da Ovest, siamo finalmente arrivati alla democrazia. Non sappiamo se allora vi è parsa una democrazia da amare e odiare nell'indifferenza, da tollerare perché non vi è di meglio, da vivere senza passione.
A noi, privati della libertà e dei diritti politici, il gesto simbolico del dono di una tessera e l'accoglimento dentro la vita di un partito hanno permesso di scoprire il gioco non indifferente delle qualità, l'unico gioco che appassiona veramente in politica come in amore, l'unico per cui tutto sommato valga la pena di rispettare le regole e impegnarsi alla tolleranza.
Ognuno di noi, con la sua testimonianza, con la sua speranza, ha partecipato alla Convention democratica promossa dal Congresso radicale, e lì ha sperimentato una grande affinità ricca di varia e contrastante umanità, comunque formata di non indifferenza e animata di compassione.
In quell'occasione, noi abbiamo ripreso un grido di allarme, quindi abbiamo espresso una promessa: "L'anno prossimo a Gerusalemme'".
Per noi non è solo un augurio rituale, non è solo un saluto, ma un impegno su cui intendiamo giocarci la nostra libertà. Una solidarietà profonda e spregiudicata ci accomuna ai prigionieri di Sion congelati in Unione Sovietica.
Una solidarietà fraterna ci spinge ad agire per chi non può.
Potervi incontrare è dar vita all'impegno, è già esercitare la promessa.
Una promessa che ci obbliga: diritto all'informazione e alla comunicazione, al migrare degli uomini e delle idee.
Alla necessità, così cara ai comunisti, di dover cambiare la natura umana non si può rispondere con la pretesa degli occidentali di voler per forza e ingenuamente rimodellare l'altra faccia dell'Europa.
E' più facile pensare che esistano in giro per l'Europa uomini non dimezzati dalle ideologie, dai nazionalismi e dai razzismi, bensì uomini completi che vogliano incontrarsi con altri uomini, con le loro diversità e con le loro affinità, vale a dire con tutta la loro umanità.
Si tratta di immaginare uno spazio giuridico autentico dell'Europa - di quella dell'Est come di quella dell'Ovest - dove l'informazione circoli liberamente, veicoli conoscenza sui gradi reali di pericolo, permetta un'opinione sulla vasta gamma di opzioni possibili.
Uno spazio in cui sia riconosciuto il diritto alla scelta: cambiare il sistema in cui si vive, se si vuole e se è possibile; in ogni caso, poter partire.
Incontriamoci, quando venite a Roma.
Se mai è possibile, vi offriamo la nostra ospitalità. Noi, al posto vostro non ci sogneremmo neanche di venire in galera... ma poi, questa, è una galera?

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